Informaticorefrattari
Siamo nel 2019, quasi nel 2020. Il mio lavoro di sistemista/help desk è una grande possibilità dì avere una sonda sempre pronta per analizzare il rapporto delle persone con qualsiasi dispositivo (o anche concetto) che riguardi questi misteriosi oggetti dotati quasi di un’anima e di un’intelligenza. Tutti i colleghi (ed ex-colleghi) hanno me come punto di riferimento per qualsiasi dubbio. E questo mi rende anche un po’ psicologo.
Analizziamo i dati raccolti in 6 anni di lavoro, aspetto per aspetto.
Il bacino di utenti, il loro background, il loro ruolo.
Aziendalmente parlando, i protagonisti di queste storie ricoprono tutta la scala gerarchica aziendale, perché (volente o nolente) questa è l’epoca in cui ogni essere umano si deve interfacciare con qualsiasi oggetto a base di silicio. Purtroppo, non tutti hanno la predisposizione mentale per un approccio sereno alla tecnologia, e adottano strategie mentali diverse a seconda della predisposizione al cambiamento che intrinsecamente permea o meno ognuno di loro.
La paura/negazione: «ma che mi serve, tanto non ci capisco niente». Questa é il mantra di chi viene a conoscenza che un telefono, nell’Anno Domini 2020, può non solo telefonare. Penso sia un retaggio dovuto a decenni di abitudini in cui «un oggetto=una funzione»: il telefono telefona e manda messaggi, il telecomando accende e spegne la tv, un computer ha una tastiera quindi serve per scrivere, la caldaia si comanda col termostato. E fino a quando questo era un equilibrio, andava tutto bene. Poi avvenne l’inspiegabile: Internet.
Il primo scoglio da superare furono le email. Sapevano che si doveva accendere quella scatola, sperare che nessuno alzasse la cornetta di altri apparecchi telefonici della casa, ed erano capaci di interfacciarsi con uno schermo che gli chiedeva cose che tutto sommato erano già familiari. Destinatario, oggetto, testo, allegato, pulsante Invia. Il fremito che seguiva era sapere che quel messaggio era potenzialmente dall’altra parte del mondo.
Fine, mandata un’email, mandate tutte le altre. Niente più code alle poste, evviva, che emozione, più che condivisa.
Analogamente accadeva per i siti internet. Informazioni, notizie. Limitato ma efficace. Questo fu poi il trampolino di lancio per un’evoluzione inarrestabile nell’utilizzo di internet, fino a quando, in maniera piuttosto subdola e scaltra, un nuovo termine si fece strada: «cloud».
In un certo qual modo il cloud è sempre esistito, virtualmente parlando, ma quando si è consolidato in servizi fruibili dall’utente medio, assieme ai suoi cugini «like, post e social», si é andato ad accentuare il divario tra chi è stato in grado di stare dietro alle loro evoluzioni e chi invece é rimasto vittima della sua paura/rifiuto/negazione.
Senza rendersene conto, nell’arco di un lustro, chi era abituato all’assioma un oggetto=una funzione, si è ritrovato catapultato in un mondo di termini e concetti sconosciuti decisamente intimidatori. Che diavolo di mondo é questo ora? «Il cellulare che fa le foto ok, ma ora posso comandare la mia casa parlando al cellulare o a un soprammobile? Posso accendere i caloriferi dall’ufficio? I miei documenti sono accessibili attraverso internet da qualsiasi punto? Ma io di solito li tengo nel fascicolo verde in libreria a casa, le mie foto le salvo sul computer dopo ogni vacanza, e ora posso non farlo più?». Come avrebbe detto mio nonno: roba da chiodi.